giovedì 7 luglio 2011

Piccola postilla sul concetto di "outsider".

Da ragazzino, in un bel giorno di primavera, scoprii la parola "anticonformista". Dovevo avere dieci, undici anni, credo, e del significato di quella parola mi innamorai. Da allora decisi che nella vita avrei provato ad essere, a modo mio, un anticonformista. Negli anni a venire, da un punto di vista strettamente mentale - di vedute, di opinioni, di libertà di pensiero intendo - mantenni la promessa fatta a me stesso. Esteriormente, di quella promessa, non vi era in me traccia alcuna che potesse far pensare ad un adolescente intento a mostrarsi molto diverso dagli altri. Negli anni a venire, al concetto di "anticonformista", ho sovrapposto quello di "outsider". In quell'idea c'era tutto il sentimento di rivalsa di chi arriva dal basso, da una famiglia operaia o quasi, da un quartiere popolare e da una scuola di periferia; l'orgoglio di chi parte dalle retrovie - fosse anche solo per timidezza, riservatezza o voglia di stare in disparte - e ambisce, se non proprio al podio, almeno a giocarsela. Di pari passo, intorno ai miei vent'anni, sperimentavo versioni personali dei significati di "illusione" e "delusione", "sconfitta" e "rivincita", "conquista" e "perdita", in quella tipica autocommiserazione post adolescenziale che mi ha traghettato fino ai trent'anni. E' qualche passo prima dei trent'anni che da un approfondimento radiofonico sulla condizione giovanile di fine secolo apprendo, con sconforto quasi, che tutti gli adolescenti per loro tipica essenza - per rappresentare in cuor loro quella natura meticcia e effimera che li colloca in bilico tra infanzia e età adulta - sono tutti dei perfetti outsiders. Vidi così presi in giro tanti anni di fiera rincorsa ad un anticonformismo personale, nascosto quasi, celato nelle tasche e tenuto stretto tra le mani nella convizione di appartenere alla minoranza di una minoranza, e se possibile alla minoranza di quella minoranza... Orgogliosamente solo in una solitudine tenera e disperata, perfino difesa a denti stretti e preservata nel tempo, quel giorno all'improvviso mi ritrovai in una folla di solitudini, in un oceano di ragazze e ragazzi del tutto simili a me, con addosso i miei stessi vestiti, creati a mia immagine e somiglianza... Non volevo crederci ma dovetti crederci, non volevo abitare questo mondo ma dovetti farlo. In un giorno di primavera, molto tempo dopo i miei primi dieci anni, ho accettato tutto questo e per la prima volta sono stato davvero bene.       

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